Colombia,
non
ho mai avuto a che fare
con
te,
Colombia,
mi
ricordo solo una volta
al
liceo
che
era arrivata
una
classe di colombiani
a
fare uno scambio culturale
e
un insegnate di ginnastica
voleva
a tutti i costi
insegnarci
il mambo
e la bachata
per
accoglierli ballando,
io
provai a spiegargli
in
buone maniere
che
se dovessi mai andare in Colombia
e
mi accogliessero ballando la tarantella
io
gli tirerei un pugno in faccia;
mi
diede 4
e
passai tutta l'ora
su
una panchina
seduto
assieme
alle
mie compagne mestruate
o
presunte tali.
Colombia,
nonostante
i nostri trascorsi
non
siano così felici
non
ti disprezzo,
anzi,
ho
per te quella simpatia
tenera e un po' egoista
che
si prova per i tossicomani
che
stanno peggio di te.
Infatti Colombia,
mi
ti immagino
costretta
alle cene di famiglia
con
tutti gli altri stati sud-americani,
seduta
al tavolone,
sudata,
che
ti gratti il naso,
impaziente.
A
capo tavola
il
Brasile e l'Argentina
che
parlano di calcio
e
di quella volta
che ai mondiali...
poi
più giù
la
Bolivia discute di rivoluzioni fallite
col
Cile che, ormai imborghesito,
sorseggia
cabernet vestito di vigogna
e
ricorda i tempi degli Inti illimani.
E
tu,
Colombia,
seduta
di fianco al Paraguay,
il
classico cugino muto
e
brufoloso
interessante
come una visita
alla
fabbrica dei tappi di sughero,
carismatico come un Koala,
tu,
Colombia,
sudi
e tremi
e
pensi:
"ecco
adesso
me lo chiedono".
E
infatti il Venezuela,
si
gira fingendo interesse
e
ti chiede:
“E
tu, Colombia,
tu
di cosa ti occupi?”
“Sono
nel ramo
degli
aspira-polveri,
vendita
all'ingrosso”
“Si guadagna bene?”
“Finché c'è polvere
“Si guadagna bene?”
“Finché c'è polvere
c'è
speranza”.
Poi
chiedi scusa,
e
con permesso,
e
vai in bagno
a
prendere un po' di respiro
e
a pensare che se qualcuno
al
tavolo
ti
obbliga a ballare la bachata
tu
gli tiri un pugno in faccia.
(dedicata al mio designer di fiducia, F.F.T.)
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dilla