venerdì 26 ottobre 2012

Colombia



Colombia,
non ho mai avuto a che fare
con te,
Colombia,
mi ricordo solo una volta
al liceo
che era arrivata
una classe di colombiani
a fare uno scambio culturale
e un insegnate di ginnastica
voleva a tutti i costi
insegnarci il mambo 
e la bachata
per accoglierli ballando,
io provai a spiegargli
in buone maniere
che se dovessi mai andare in Colombia
e mi accogliessero ballando la tarantella
io gli tirerei un pugno in faccia;
mi diede 4
e passai tutta l'ora
su una panchina
seduto assieme
alle mie compagne mestruate
o presunte tali.

Colombia,
nonostante i nostri trascorsi
non siano così felici
non ti disprezzo,
anzi,
ho per te quella simpatia 
tenera e un po' egoista
che si prova per i tossicomani
che stanno peggio di te.

Infatti Colombia,
mi ti immagino
costretta alle cene di famiglia
con tutti gli altri stati sud-americani,
seduta al tavolone,
sudata,
che ti gratti il naso,
impaziente.
A capo tavola
il Brasile e l'Argentina
che parlano di calcio
e di quella volta 
che ai mondiali...
poi più giù
la Bolivia discute di rivoluzioni fallite
col Cile che, ormai imborghesito,
sorseggia cabernet vestito di vigogna
e ricorda i tempi degli Inti illimani.
E tu,
Colombia,
seduta di fianco al Paraguay,
il classico cugino muto
e brufoloso
interessante come una visita
alla fabbrica dei tappi di sughero,
carismatico come un Koala,
tu,
Colombia,
sudi e tremi
e pensi:
"ecco
adesso me lo chiedono".
E infatti il Venezuela,
si gira fingendo interesse
e ti chiede:
“E tu, Colombia,
tu di cosa ti occupi?”
“Sono nel ramo
degli aspira-polveri,
vendita all'ingrosso”
“Si guadagna bene?”
“Finché c'è polvere
c'è speranza”.
Poi chiedi scusa,
e con permesso,
e vai in bagno
a prendere un po' di respiro
e a pensare che se qualcuno
al tavolo
ti obbliga a ballare la bachata
tu gli tiri un pugno in faccia.

(dedicata al mio designer di fiducia, F.F.T.)


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dilla