domenica 23 dicembre 2012

La metà del diavolo

Si cosparse  il capo di cenere, dopodiché disegnò un cerchio nell'arena riarsa e vi si accucciò nel centro.
Attese tre giorni, rifiutando il cibo e le bevande che le mani gentili della moglie gli offrivano. Lo sguardo piantato contro il suo stesso diaframma, le onde argentate della barba che solcavano il petto, le gambe intrecciate come vimini; il naso aquilino disegnava un sottile pugnale d'ombra che divideva a metà il suo corpo secco fino all'ombelico.
Immobile e calmo, come un cedro chiomato.
Oltre il cerchio del rimorso, il gorgo dell'attesa.
La terza notte venne il drago.
L'occhio verde di un gatto, la luna nel cielo. Gomitoli di nubi ottenebravano a tratti la piana spelacchiata dai venti. Aria calcarea di salsedine, voce mendace di marinaio, lingua di mare raccontava spuma lontana tra i denti degli scogli.
Strisciava tra i roveti, strisciava su gomiti di squame, lento e sicuro come un cancro, strisciava.
Era serpe e cinghiale, e gambero di mare e uomo e donna.
Era un odore più di una forma.
Lasciava sugli arbusti puntuti brani di pelle grigia e pelo viscido, lasciava nel solco del suo incedere uova che schiudevano monete roventi di ossidiana. teste di cavalla, feti di cagne cieche e già gravide.
La sua schiena lucida era un brulicare di lumache.
Un brivido morse il coccige del penitente, come un cane nero, e subito seppe che era vicino.
La notte scintillava nel suo punto più sordo quando, alzata la barba dal petto, il vecchio trovò ad attenderlo la nuca lucida del buio.
Un'alga di seta gli avvolse le gambe come un'amante impaziente.
"Perchè tu non fugga" dissero le voci del drago, paterne.
Il vecchio sorrise, suo malgrado, dell'insicurezza del diavolo.
"Sono qui per riscuotere il mio credito", sibilarono le tre bocche della bestia.
Il vecchio lasciò parlare per prime le rughe della fronte, poi calibrò col bilancino della lingua dosi di miele, di veleno e di dubbio: " La tua potenza è tale che sarebbe stolto tentare di sottrarmi al tuo volere o di ingannarti, dunque sai di potermi considerare servo tuo, e fedele. Ma, Nemico, non so come accontentare le tue richieste, questa volta. Ti ho già dato metà delle mie bestie, e tu ne hai fatto demoni rapaci che tirano la mia barba nel sonno. Ti ho già dato metà delle mie terre, e tu ne hai fatto cimiteri di behemoth solcati da fiumi di lava. Ti ho già dato metà della mia casa, e tu ne hai fatto il nido di serpi, cimici e tarantole. Ti ho già dato metà di mia moglie e tu ne hai fatto un figlio che insozza il mio nome stuprando e pervertendo ogni cosa sul suo cammino. Ti ho già dato metà delle mie figlie, e tu ne hai fatto le tue concubine e schiave, e mentre lavoro  nei campi, sento dai buchi nella terra gli strepiti dei loro orgasmi e delle loro bestemmie al mio nome. Ti ho già dato metà del mio corpo, e tu ne hai fatto un regno di fuoco e arsura e febbri e ulcere e piaghe. Ti ho già dato metà del mio spirito, e tu lo tormenti ogni giorno con il dubbio, l'ira, lo sconforto, la tentazione, la meschinità, la misantropia, il richiamo suadente al suicidio. E certo, dopo la mia morte, ne avrai anche l'altra metà. Dunque cosa devo donarti ancora? Quando avrò saldato il debito che non ho mai contratto?"
Il drago tacque. Ogni cosa era ferma. Solo le cisti sulla sua schiena continuavano ad esplodere lasciando fuoriuscire lumache e siero bollente.
Poi le voci, imperative, soffiarono: "Voglio metà di ciò che hai, ma che non sai di avere".
Il penitente, muto, si protese in avanti, fino al limite del cerchio di sabbia e baciò una dopo l'altra le tre bocche del diavolo.
Subito la notte gli rubò i sensi, come un vino non mescolato.

Quando l'alba scese a carezzargli le palpebre, la prima cosa che sentì furono grida e risate e rumori di passi veloci, di balzi.
Si puntò sui gomiti, carezzò la fronte e la trovò, con sorpresa, liscia.
Poi, guardando oltre l'ombelico, lottando con le pupille fosche, gli sembrò di vedere una manciata di bambini, nudi, che giocavano a lanciarsi la pelle vuota e molle di una bestia indecifrabile.



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dilla