giovedì 25 aprile 2013

Il bosco è silenzioso


Il bosco è silenzioso.
Il vento gelido della notte si sta alzando.
Ho freddo.
La gamba è rigida, non riesco a muoverla. Una macchia scura tinge il verdone delle braghe; il gelo ha impedito al sangue di colare, la neve è rimasta bianca. Nemmeno una goccia di rosso a smangiarne il candore.

“Berto, boia che freddo!”. 

Dio, che voglia di una sigaretta.
Mi frugo in tasca con calma, non c’è fretta. Quando il tempo sta per finire non c’è fretta.
Qualche minuto fa correvo, invece. Boia, se correvo.
I latrati dei cani, le calze zuppe d’acqua ghiacciata, gli spari, i passi di corsa...
E gli ordini: parole secche, cattive. Non capivo quella lingua, non era umana; era come ruggine gracchiata da mandibole di metallo.
Però capivo che volevano fotterci, me e il Berto.

In tasca solo castagne, proiettili freddi e qualche fiammifero... neanche un mozzicone di toscano, di quelli che fumava il Mosca. Povero diavolo, il Mosca. 
Era un macellaio, si unì alla brigata ché aveva disertato la leva; non voleva andare in Russia per via del freddo, diceva, che lui mai che l'ha sopportato, il freddo.
Aveva un bel da fare a spostare vacche a destra e manca per mostrare la ricchezza degli allevamenti italici, il Crapapelata, se poi i soldati del Regno che erano diretti verso la Russia avevano in dotazione la stessa divisa di quelli che partivano per l'Egitto. E lui, il Mosca, queste cose le sapeva perché era macellaio e di vacche se ne intendeva, e si era accorto che eran sempre le stesse. E poi aveva uno zio marxista, che quello di poveracci anche se ne intendeva, e si era accorto che le divise eran le stesse. E allora ci faceva tutti 'sti discorsi qua, sul proletariato e le guerre dei borghesi combattute dai noialtri poveracci e i Lenin e i Stalin...
“Mosca, boia mondo!... senti che freddo qua, altro che tutte le Russie e i Lenin!”
E però lui non può mica essere qua al mio posto, che se no ci sarebbe anche. Ma una sera durante un’azione notturna sto diavolo s’era acceso uno di quei sigari spuzzolenti, e subito un dito di metallo gli ha penetrato i polmoni assieme al fumo ancora caldo.
Quelli ci hanno gli occhi ovunque. 
E così, zitto e Mosca.

“Che freddo, ve'! Puttanalabiscia”.

Mi lascio andare all’indietro e incontro il tronco solido di una betulla. La pianta mi sorregge la schiena con accondiscendenza, premurosa come una sorella. Chissà come sta la Betta. Cara, lei. Piangerà. Ada no. Ada è forte. Ada è testarda, arida. Stringerà i pugni e continuerà a stendere la pasta sul tavolaccio della cucina, come se la staffetta non avesse detto niente. Solo con più rabbia, con più determinazione; quasi che sotto al suo mattarello ci fosse un ufficiale crucco, invece della pasta per gli agnolotti di Natale.
Vedo il mio posto, vuoto, alla cena della vigilia. I parenti come statue del presepio, rigidi, in attesa; la lieta novella che non arriva mai.

“Il caneladro, che freddo, Berto!”

Mi giro e vedo il Berto: è lì, lungo, sdraiato al mio fianco. Le mani, a coppa sul ventre, reggono le budella rosse e fumanti che gli escono dal foro; la faccia, digrignata nell’ultima smorfia di dolore, ormai è bianca.
Gli sbottono il giubbotto e poggio il palmo aperto della mia mano sul suo petto. Immobile. È morto.
Fino a pochi minuti fa stavamo correndo come quando, da ragazzini, scappavamo dal frutteto del Loris. “Sei lento, Berto!”, gridavo, io. E intanto sudava, lui, facendosi rosso nelle guance come le mele che gli cascavan dalle tasche. “Corri, che una volta di queste il Loris ci spara il pepe nel culo!”

"Fa ben freddo neh, Orcalabalena!"

I fucili tedeschi, più secchi e inumani delle grida dei loro padroni, ci sparavan dietro, ad altezza d’uomo.
Eravamo in quattro questo pomeriggio, dovevamo studiare il perimetro del deposito per poterlo attaccare di sorpresa non appena fosse calato il sole.
Non so come avessero fatto a sapere dell’azione, forse qualcuno aveva parlato.
Il primo a morire fu il Gian. Caduto giù come un ramo potato, dritto, senza fiatare.
Subito ci mettemmo a correre, come che avessimo il demonio alle calcagna; io e il Berto in una direzione, il Luigi dall’altra.
Dopo qualche minuto li sentii avvicinarsi.
Un botto. Mi voltai: un fiotto rosso sulla neve.
Avevano preso il Berto alla pancia, lateralmente. Ma era grosso, il Berto, aveva una schiena che pareva un mulo degli alpini; dopo aver barcollato un attimo si tappò il buco con le mani e riprese a correre meglio che potè. C'era una piccola scarpata, poco più avanti, che portava a un posto riparato. Correre non si poteva più.

“Che freddo dell'ocatroia!”.

Gli chiudo gli occhi.
Gli riabbottono il cappotto, e la Madonna Nera mi manda il miracolo: dalla sua tasca cade una bella sigaretta. Rimango un attimo lì, stupito, incerto sulla bestemmia da trattenere.
“Sicuro che non la fumi, Berto?”.
Il Berto fumava un sacco, e aveva pure la tosse. Ma quando che gli chiedevi una sigaretta non te la dava. Mai. Questa volta, però, non rispondeva mica. E allora, dato che non s'è mai visto in chiesa il disegno di un angelo che fuma, e che chi tace acconsente, me la prendo io.

“Che freddo, vaccamerda!”

Mi frugo in tasca con una lentezza rassegnata.
Attorno ormai è calato il buio.
Il bosco è tutta un'orchestra inquietante di strumenti invisibili. Mi sembra di essere osservato da mille paia di occhi. Tutto è fermo ma pronto a scattare, nell’ombra.
Trovo il fiammifero e faccio per accenderlo.
Nella magia povera dello zolfo, rivedo il sorriso di mia madre, le mani contadine di mio padre, l’Ada e la Betta, il vecchio Loris.
Si assiepano ai lati del mio sguardo il Gian e il Luigi, tutti i compagni di missione, l'intera brigata.
Sento di nuovo il proiettile che mi sfiora l'orecchio e buca la pancia al Berto, e quell'altro che mi si conficca nella gamba
Vedo ancora la piccola radura coperta dove ci fermiamo io e il Berto, feriti e ormai stremati, il suo viso contorto in una smorfia di morte dolorosa.
Poi, per ultima, mi balena davanti l’immagine del Mosca, che s’accende il suo bravo toscanello.
Rabbrividisco.
Alzo le spalle, scrollandomi di dosso la neve caduta dalla betulla.
Esito un attimo.
Mi sistemo la sigaretta bene in bocca e avvicino il fiammifero.
Boccata.
Un lampo di fuoco.
Fumo.
Che freddo.


1 commento:

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dilla